Una storia nel Cile della dittatura militare

Il libro di Tarcisio Benedetti “Alborada. La tipografia della Libertà” è finalmente fresco di stampa, presso le Edizioni Lavoro. Entro la settimana cominceremo come ISCOS a inviare le ricompense ai 23 co-produttori, che hanno partecipato alla nostra iniziativa di crowdfunding in “Produzioni da Basso” (PdB) o direttamente.

Grazie a queste persone e associazioni sindacali abbiamo raccolto finora 2.030 euro, pari al 67% dell’obiettivo indicato. Inoltre, la CISL nazionale ha deciso per il Natale 2020 di regalare questo libro, ordinandone 600 copie…

Il titolo del libro, per volontà dell’autore, è stato modificato da quello originariamente scelto dalle Edizioni Lavoro e, soprattutto, è passato dalle 128 alle 160 pagine, con un prezzo di copertina cresciuto da 12,00 a 15,00 euro. Un risultato migliore che premia quanti hanno creduto nel progetto e ci hanno aiutato con le loro donazioni. E per quanti continueranno a farlo fino al 31 dicembre 2020, termine ultimo per il crowdfunding: https://www.produzionidalbasso.com/project/alborada-la-rotativa-della-liberta/

Di seguito pubblichiamo il sommario e la prefazione di questa bella storia nel Cile della dittatura militare, che meritava di essere raccontata e conosciuta.

Sommario

Prefazione
di Alberto Cuevas

Alborada
Introduzione
Dai Lessini alle Ande – 1920
L’America latina – 1965
Dal seminario al Cile – 1968
Cile lindo
La motonave Verdi – 1974
La città di Curanilahue – 1974
Fuga da Curanilahue – 1978
Il periodo italiano – 1978-1987
Alborada, nascita di un’idea
Novità in arrivo
Finalmente il via – 1988
Come si arriva al plebiscito – 1988
Impari lotta
Il plebiscito
Seconda tappa – 1990
Conclusioni

Considerazioni sull’esperienza di Alborada
di Andrea Gandini

L’ultimo discorso di Salvador Allende
Chile, la alegría ya viene
Cile, l’allegria sta arrivando

Allende
di Mario Benedetti

Bibliografia

Prefazione
di Alberto Cuevas

1. Dopo il colpo di Stato dell’11 settembre 1973, la solidarietà con il Cile e con i cileni da parte della società italiana e delle sue istituzioni è rimasta nella memoria di tutti i cileni, in particolare in noi, che l’abbiamo vista e vissuta. Il golpe di Pinochet e l’insensata violenza che ne seguì nei mesi e negli anni successivi, colpirono l’immaginario collettivo italiano a tal punto che oggi è difficile trovare in una città – piccola o grande che sia – una strada, una piazza, una scuola, un centro sportivo che non porti il nome del presidente Salvador Allende o di Pablo Neruda. Tutte le forze politiche, con la sola eccezione del partito erede del fascismo, si schierarono contro il golpe e contro la violazione dei diritti umani che colpì una parte rilevante della popolazione cilena. Migliaia di profughi cileni arrivarono in Italia e furono accolti da gesti e manifestazione di solidarietà e viva partecipazione. Un’intera generazione di giovani italiani fu influenzata dalla musica degli Inti-Illimani, Quilapayún, e scoprì le figure di Victor Jara e Violeta Parra.
Gli anni Settanta videro in tutta l’America latina una serie di colpi di Stato: in Uruguay, in Argentina e in numerosi altri paesi sudamericani. Fu il Cile, tuttavia, a colpire di più l’opinione pubblica italiana. L’esistenza in Cile di una geografia politica nominale, con un Partito comunista, un Partito socialista, una Democrazia cristiana, oltre a una sinistra extraparlamentare, come in Italia, agevolò i processi di identificazione di massa; ma fu soprattutto la brutalità e la violenza dei golpisti nel colpire un’esperienza di sinistra che voleva sperimentare una via diversa nella costruzione del socialismo a scuotere le coscienze e a spingerle a solidarizzare con un paese che, pur tanto lontano, veniva sentito vicino, nella cultura come nei valori politici.
Nel clima di guerra fredda, ancora esistente, la tragedia cilena fu così importante da segnare la stessa politica italiana. Il compromesso storico, proposto da Enrico Berlinguer, prendeva esplicitamente ad esempio l’esperienza cilena nel proporre una strategia per la sinistra che la vincolasse ad alleanze molto larghe e inclusive. L’elemento cardine della democrazia, qual è il principio di maggioranza, veniva considerato non più sufficiente per governare; erano necessarie larghe intese per non mettere a rischio le istituzioni democratiche.

2. L’impoverimento della popolazione, provocato da una profonda crisi economica, che si registrò in Cile, non fu un’eccezione in America latina. Nella maggioranza dei paesi del subcontinente si registrò, a metà degli anni Ottanta, una lieve ripresa economica, ma permanevano disoccupazione e povertà di massa. La distribuzione delle risorse e la povertà stessa non sono più considerate la conseguenza dell’assenza di reddito, ma come privazione dei bisogni di base. La cooperazione italiana cercò di dare una risposta a questa situazione che però non coinvolgeva solo il Cile.
Il forte debito pubblico dei paesi in via di sviluppo (Pvs) e la crisi economica nei paesi industrializzati del Nord condusse a svolte neoconservatrici (Reagan, Thatcher eccetera). I programmi e le politiche della Banca mondiale per i Pvs erano indirizzati a favorire i processi di liberalizzazione e di privatizzazione selvaggia per garantire la riallocazione delle risorse, lo sviluppo autosostenuto e l’inserimento nel commercio internazionale. Non ci furono, tuttavia, investimenti nel capitale sociale.
Le attività delle Ong nei Pvs erano orientate soprattutto in tre ambiti: il sostegno finanziario, tecnico e materiale alla formazione, il trasferimento di know-how tecnologico e di impresa; gli aiuti nelle situazioni di emergenza, soprattutto sanitaria e alimentare, e infine, come la si chiama oggi, l’institutional and capacity building, che non è altro che la costruzione, il potenziamento delle capacità, l’insieme degli sforzi e delle attività per migliorare le istituzioni e lo Stato del paese ricevente.
In questo quadro di riferimento si colloca l’enorme mole di progettualità di decine di Ong italiane durante gli anni Ottanta: la solidarietà e la propensione al volontariato furono all’ordine del giorno. L’esperienza di Tarcisio Benedetti è la chiara testimonianza di questo impegno, disponibile e generoso, in un clima, evidente, di rischio e pericolo, ma foriero di importanti valori etici e morali.

3. Un ruolo di primo piano, in quel periodo, lo ebbero i sindacati: le tre grandi confederazioni sindacali, Cgil, Cisl e Uil, unirono le loro forze in un’azione solidale che coinvolse anche i lavoratori nei luoghi di lavoro. Ci furono finanche contratti collettivi che prevedevano azioni solidali nei confronti dei cileni e della resistenza. E quando, nei primi anni Ottanta, nacquero le Ong legate ai sindacati – Iscos, Progetto Sud e Progetto Sviluppo – queste diventarono l’asse portante di un sistema e di una progettualità solidale di vastissime proporzioni. Il tutto inquadrato nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.
Immediatamente dopo il colpo di Stato in Cile, il sindacalismo italiano mobilitò i suoi iscritti e sfruttò il suo enorme peso politico e sociale per far fronte all’emergenza, la distruzione cioè di una democrazia e di un sindacalismo, quello cileno che, nonostante le critiche, aveva molta visibilità internazionale. Uniti nella Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, i sindacati italiani mobilitarono dirigenti, delegati e militanti per affrontare le prime emergenze:
Il primo obiettivo, di fondamentale importanza, fu l’impegno per il rilascio dei detenuti, in particolare dei sindacalisti. Salvaguardare la vita del maggior numero possibile di persone. Per fare questo era necessario sensibilizzare l’opinione pubblica in modo che in tutti i forum internazionali si facesse pressione per far rilasciare i detenuti, indipendentemente dal loro status di sindacalisti, dalle loro opinioni e pratiche politiche. Non vi è dubbio che in questo obiettivo i sindacati italiani e le altre forze sociali (partiti, associazioni) abbiano ottenuto molto successo.
Il secondo obiettivo dei sindacati italiani fu quello di organizzare l’assistenza alla moltitudine di rifugiati che, tra il settembre e l’ottobre del 1973, arrivarono in Italia. Era un compito che i partiti politici stessi delegavano ai sindacati e che venne svolto in maniera eccellente, come fu riconosciuto da tutti. L’impegno più urgente era integrare i rifugiati nella società italiana: in tutte le regioni, nelle sedi sindacali territoriali e nelle federazioni di categoria vennero organizzati corsi di italiano; furono realizzate decine di case-famiglia, corsi di formazione professionale, attività ricreative eccetera. Nell’Italia accogliente di allora fu sperimentato – e con successo – un vero sistema di welfare per i rifugiati. Tuttavia, ben presto emerse anche un altro aspetto, drammatico: la necessità di assistenza psicologica e di integrazione attraverso il lavoro. Per la prima volta furono accolti negli stessi contenuti del contratto collettivo, soprattutto nei contratti aziendali o integrativi, accordi per l’assunzione dei rifugiati. Fatto unico in Europa. È vero, l’Italia allora era un’altra cosa!
Il terzo obiettivo fu l’accoglienza dei sindacalisti cileni e il supporto affinché potessero continuare la loro attività di rappresentanza, seppure in esilio. Vennero accolti Luis Figueroa, Manuel Bustos, Héctor Cuevas e tanti altri leader sindacali cileni e la loro presenza fu molto importante. Figueroa, ultimo presidente della Centrale unitaria dei lavoratori cileni (Cut), trascorse qui alcuni mesi: mesi intensi, costellati di incontri e dibattiti schietti, a volte duri, sulle azioni del sindacalismo cileno negli anni precedenti. Io stesso sono testimone di un incontro tra lui e il leader dei lavoratori metallurgici della Cgil, Bruno Trentin, nel quale vennero mosse pesanti accuse al sindacalista cileno che rispose con grande dignità e franchezza, chiedendo del tempo per elaborare la sconfitta storica. La presenza di Cuevas fu breve e durante la sua permanenza incontrò molti sindacalisti, in particolare i delegati della categoria degli edili delle tre confederazioni. Furono dibattiti intensi e severi, senza diplomazia, ma sempre con grande rispetto e fraternità verso il sindacalismo cileno. Più importante fu la presenza di Manuel Bustos che visse in Italia durante il suo esilio. Questo sindacalista – espulso dal suo paese nel gennaio 1983 – si trasferì in Italia e, con il sostegno della Cisl e dei sindacati italiani, diede vita ad un modello di solidarietà poi replicato dai sindacati europei.

4. Parallelamente ai compiti dettati dall’emergenza, fu lanciato un piano per la riattivazione del sindacalismo cileno, aiutando dapprima a ricostruire il primo organismo post colpo di Stato, ossia la Cns (Coordinadora nacional sindical), organizzata da Manuel Bustos nel 1975. Dal maggio di quell’anno fino alla presentazione del Pliego de Chile nel luglio 1982, il sindacalismo italiano operò attraverso due canali paralleli: i compiti di solidarietà in Italia, sopra menzionati, e il sostegno alla ricostruzione sindacale in Cile attraverso gli aiuti programmati in Italia, che facevano riferimento a una nuova generazione di sindacalisti guidati da Bustos.
In quel periodo, i sindacati italiani iniziarono a dividersi, fino alla scomparsa della Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil. Le politiche per far fronte all’inflazione (si diceva che fosse a due cifre), la disoccupazione, la questione meridionale: tutto fu affrontato con politiche di concertazione sociale fino al primo accordo di San Valentino del 1984 e al successivo referendum sull’eliminazione di alcuni punti dalla scala mobile sui salari, che finirono per dividere il sindacalismo italiano, causando un ritorno alle identità originali. Sul Cile, tuttavia, l’unità d’azione non si fermò. È un fatto sorprendente, ma l’azione politica e sindacale nei confronti della questione cilena continuò a svilupparsi unitariamente, senza il rancore e le lacerazioni di quegli anni. Il Cile è stato un ponte tra le organizzazioni sindacali italiane, profondamente lacerate.
Un risultato altrettanto sorprendente fu ottenuto nel campo delle alleanze internazionali. Fu in quegli anni che il sindacalismo italiano, sostenuto dal sindacati tedesco e da quello nordico, sfidò l’egemonia che il modello sindacale nordamericano aveva in America latina, aiutando il libero sindacalismo guidato in Cile dalla Cns (Coordinadora nacional sindical). Fu allora che cambiarono la linea e il comportamento dell’Orit, l’organizzazione della Confederazione internazionale dei sindacati liberi (alla quale aderivano le tre confederazioni italiane) nel continente americano.
Non c’è dubbio che la cooperazione internazionale e la disponibilità del mondo del volontariato e delle Ong hanno creato nuovi spazi per rafforzare le linee di solidarietà e per attuare nuove politiche

5. La riattivazione sociale in Cile cominciò a dare i suoi frutti e iniziarono le «proteste sociali», che sarebbero state decisive per la fine della dittatura. È di questo periodo la testimonianza di Tarcisio Benedetti, ed è davvero molto illuminante. Dall’11 maggio 1983, proclamato giorno di protesta nazionale dal sindacato cileno, con Bustos già tornato nel suo paese, il tipo di solidarietà italiana verso il Cile cambiò nuovamente, ora si sostenevano le lotte e le vertenze all’interno del paese stesso. Nonostante i rischi, i sindacati italiani ed europei accentuarono la loro presenza nel paese. Le delegazioni dei paesi europei furono spesso testimoni (e talvolta protagonisti) delle proteste, dei metodi repressivi usati dalla dittatura e della feroce violenza che caratterizzò quegli anni. La presenza in Cile, con l’osservazione diretta dei limiti e dei bisogni non solo del sindacalismo cileno, ma della società stessa, diedero il via a una fase di cooperazione che avrebbe coinvolto anche altre forze sociali: comunità contadine, artigiani, studenti, categorie e rami produttivi eccetera. Il compito che il sindacalismo italiano si assunse, in accordo con altri sindacati (francesi, tedeschi e dei paesi nordici), fu di riattivare l’opinione pubblica, rendendola più attenta ai diritti, in particolare ai diritti umani. Nacque così l’impegno dei sindacati italiani alla creazione e promozione finanziaria di nuovi mezzi di comunicazione.
L’obiettivo, ampiamente discusso con il sindacato cileno e gli esponenti politici, era di utilizzare tutti gli spazi che i regolamenti autoritari lasciavano liberi. Rifiutando qualsiasi tentazione violenta, era necessario occupare gli spazi di creatività e fantasia delle nuove generazioni per coinvolgere le persone non solo sul posto di lavoro, ma anche all’interno della società. Prese avvio così il primo progetto di creazione di un grande centro di produzione grafica ed editoriale: il mitico progetto Alborada. In quella tipografia cominciarono a essere stampati i primi manifesti, le riviste piccole e grandi e poi il primo quotidiano di opposizione: il «Fortín Mapocho»; in seguito «La Epoca», «El Siglo» (giornale del Partito comunista), i settimanali «Apsi», «Hoy», «Cauce»; riviste quali «Analisis» e «Convergencia» e molte altre.
L’Iscos-Cisl e le altre Ong sindacali diedero vita ad altri importanti progetti per la riattivazione dell’opinione pubblica, ad esempio il sostegno alle radio di opposizione, in particolare Radio Cooperativa e Radio Chilena.
Ma mentre tutti questi, e altri progetti, non richiedevano la presenza di italiani in Cile (i rischi erano enormi), il progetto Alborada richiedeva la presenza e il sostegno in loco.
Alle risorse e al potere organizzativo del sindacalismo italiano, si aggiunsero quelli degli altri sindacati europei, che furono molto importanti per mettere in atto iniziative politiche e di cooperazione che avrebbero aiutato a ricostruire il sindacalismo cileno. Tuttavia, questo fu un processo lento e pieno di ostacoli, uno dei quali era la profonda divisione tra i sindacalisti cileni in esilio. Contraddicendo una storia unitaria, il dramma dell’esilio aveva esportato anche le loro lacerazioni politiche e culturali.
L’attività dei sindacati italiani, all’inizio, fu fondamentalmente di tipo solidale. Si concentrò soprattutto sul territorio italiano, con l’accoglienza degli esiliati e, soprattutto, l’inserimento lavorativo di migliaia di rifugiati. Parliamo di «migliaia di rifugiati» perché molti, che inizialmente avevano optato per i paesi dell’Europa orientale, non trovarono lì l’assistenza desiderata ed ebbero difficoltà a integrarsi. Decisero quindi, in un secondo momento, di venire in Italia, dove era tutto più accessibile e raggiungibile.
Ciò costrinse il sindacato italiano a concentrare le proprie azioni e a investire risorse significative nelle attività di formazione, in particolare nella formazione sindacale. Le scuole sindacali delle tre confederazioni organizzarono corsi e seminari che coinvolsero decine di futuri leader sindacali cileni. Un’attività intensa, con progetti di formazione in Italia e, dal 1985, in Cile, dove era necessario agire direttamente. L’area della comunicazione e della stampa acquistò un ruolo fondamentale: l’opinione pubblica cilena stava velocemente perdendo la paura nei confronti della dittatura e dei suoi metodi violenti.

6. In Italia, dopo l’approvazione della nuova legge sulla cooperazione internazionale (legge 49/1987), iniziò un’intensa attività di solidarietà in Cile, sebbene la cooperazione in quel paese fosse iniziata già con la precedente legge 38/1979. In quel periodo le tre Ong sindacali (Iscos, Progetto Sud e Progetto Sviluppo), attraverso aiuti economici diretti e indiretti, finanziarono infrastrutture e altre iniziative di comunicazione e ricostruzione del sindacalismo cileno. L’Italia ebbe un innegabile ruolo di leadership, non solo per la sua straordinaria forza organizzativa, ma anche per il suo potere politico e relazionale, grazie al quale riuscì a coinvolgere altre organizzazioni sindacali europee, con iniziative e progetti che ebbero un forte impatto in Cile.
Dal 1985 al 1993, i progetti sindacali in Cile riguardarono sostanzialmente quattro settori.
• Area socio-economica. I primi progetti erano di natura economica con aiuti per l’apertura di piccoli centri di produzione, imprese artigiane, piccole aziende (panifici, vivai eccetera), centri di raccolta per la commercializzazione di prodotti, cooperative, alcune società di servizi (cooperative di assistenza turistica in alcune aree del paese).
• Area sindacale. I progetti erano prevalentemente di formazione (sindacale, professionale eccetera); di assistenza operativa (finanziamento di uffici, telefoni, riscaldamento, servizi); di ricostruzione sindacale (costituzione di federazioni, pagamento di funzionari e operatori, finanziamento della stampa sindacale, infrastrutture operative, fax, compute); acquisizione della sede della Cut, in Calle Cienfuegos.
• Area comunicazionale. Le tre confederazioni sindacali italiane con le loro relative Ong, sempre in modo unitario, (anche se con una suddivisione delle aree di intervento) realizzarono grandi iniziative in Cile. Citiamo qui solo quelle che hanno avuto il maggiore impatto. La prima, e più importante, è la creazione della tipografia Alborada, a cui lavorarono Mario Zoccatelli nella fase di progettazione tecnica e, in loco, Tarcisio Benedetti, con uno straordinario impegno operativo e gestionale. A questo progetto seguì la creazione dei giornali «Fortín Mapocho» e «La Epoca», e tanti altri.
• Area della cooperazione politica. Gli ultimi anni della dittatura videro una forte richiesta di solidarietà internazionale per sostenere attività di resistenza pacifica. La prima sfida per il sindacalismo europeo impegnato nella ripresa democratica in Cile fu il plebiscito del 1988. La campagna per il No fu ampiamente supportata con progetti specifici e, soprattutto, con il lavoro senza sosta di Alborada, che fu rafforzata con macchine da stampa nuove e più efficienti.

7. Credo sia opportuno, nell’Italia di oggi, domandarsi in che modo i sindacati italiani abbiano finanziato questi progetti. Quali erano le fonti delle risorse utilizzate? Provenivano solo dalla cooperazione istituzionale italiana? Le risorse della cooperazione erano molto significative, ma lo erano anche altre fonti, tra cui i progetti e i programmi europei. Tuttavia, un aiuto fondamentale arrivò dall’autofinanziamento dei sindacati e dalla raccolta di fondi nelle categorie e nei settori produttivi. In molte occasioni, le categorie o le organizzazioni sindacali aziendali (tessili, metallurgia, grafica, consigli comunali eccetera) operarono direttamente per finanziare un determinato progetto; ad esempio, il finanziamento di una scuola sindacale, dei suoi programmi e dei suoi corsi.
Una valutazione complessiva presuppone necessariamente delle domande sulla legittimità degli strumenti giuridici utilizzati, sulla bontà degli interlocutori selezionati e sui risultati concreti ottenuti. Gli strumenti utilizzati furono quelli previsti dalla legge n. 49 sulla cooperazione; va sottolineato che, nonostante un’accurata indagine della magistratura italiana nel 1994, durante Mani Pulite, la cooperazione sindacale, senza eccezioni, ha avuto un riconoscimento oggettivo del rispetto formale e sostanziale delle regole. Vi fu infatti nell’Italia d’allora – da parte dei giornali di destra – il tentativo di coinvolgere nel clima di Mani Pulite anche la cooperazione italiana, in particolare quella sindacale. Sono testimone, dopo il minuzioso controllo sulla regolarità finanziaria e contabile del progetto Alborada effettuato dalla Guardia di finanza, dei calorosi apprezzamenti da parte dell’ufficiale di quell’istituzione per l’operato in Cile.

8. L’America latina è un continente di eroi, dove le piazze, le strade e i monumenti ricordano le grandi figure dell’Indipendenza, generalmente militari o caudillos che si sono ribellati al dominio spagnolo, portoghese eccetera. Vi sono molte costanti nelle caratteristiche di questi eroi. La principale è che, nella maggioranza dei casi, muoiono sconfitti. Ma sono vincenti proprio perché perdono. L’Indipendenza sarà conquistata da altri, più scaltri e capaci di gestire il potere. Negli oltre duecento anni successivi all’Indipendenza troveremo molti esempi di eroi sconfitti ma vincenti nell’immaginario popolare: Tupac Amaru, Bolivar, Carrera, Martí, Zapata, Villa, Sandino, Allende, e il più noto, Che Guevara. Tutti offriranno la loro testimonianza promuovendo valori che resteranno nell’identità e nella cultura popolare.
La vicenda degli anni Ottanta ci mostra invece una presenza eroica diversa: nuove figure, eroi del quotidiano. Eroi silenziosi e volontari che metteranno a nudo i regimi autoritari evidenziandone vieppiù la reale natura intrisa di iniquità, disvalori e rancore. Ma questa volta si tratta di eroi vincenti. Rischiano la vita, la tortura e la galera, ma portano avanti fino in fondo il loro compito: la costruzione di una scuola, un ospedale, una tipografia, l’organizzazione di una cooperativa, di un Centro de madres, di un sindacato di un corso di formazione professionale.
È questo il caso di Tarcisio Benedetti e di tanti altri (Nino Sergi, Luigi Cal, Franco Patrignani) giovani italiani che doneranno la loro generosa energia, portatrice di valori, di coraggio, di un’etica trasparente e risoluta nel rispetto dell’altro e della non violenza.

9. La legge 49 dava un forte peso all’analisi del contesto del paese dove si sarebbe svolto il progetto. Fu allora che il direttore dell’Iscos, Nino Sergi, mi chiese di scrivere la parte introduttiva e di contesto del progetto che poi avrebbe dato vita ad Alborada. Presi così sul serio questa idea che poi lo studio, di oltre duecento pagine, sarebbe diventato il mio primo libro pubblicato in Italia (Sindacato e potere nell’America latina. Modelli e tendenze nel sindacalismo latinoamericano, Edizioni Lavoro, 1985).
Collaboravo con l’Iscos nella progettazione degli interventi in America latina. Sono tanti i progetti che questa Ong della Cisl ha realizzato nel subcontinente, ma è soprattutto in Cile, a partire dalla metà degli anni Ottanta, che l’Iscos intervenne, con progetti a favore, per lo più, del movimento sindacale, per il ritorno al rispetto dei diritti umani e per la ricostruzione democratica.
È sempre più necessario ricostruire la storia della cooperazione di quegli anni. L’esperienza di Tarcisio è un esempio di generosità e coraggio che noi cileni non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Anzi devono entrare a pieno titolo nella memoria cilena (ma anche italiana), ancora tutta da scrivere.
Quando rientrai in Cile alla fine del 1989, per la prima volta dopo diciotto anni, visitai Alborada e fu netta l’impressione di un’azienda realizzata con professionalità, competenza e tanto coraggio. Ho visto Tarcisio all’opera. Quel giorno c’era molta tensione perché un filtro della macchina rotativa si era rotto e c’era da rispettare orari e scadenze. Il problema fu risolto e il giorno dopo i giornali e le riviste erano regolarmente in edicola.
All’aeroporto era venuto a riceverci (insieme a me c’erano il compianto Mario Zoccatelli e Franco Patrignani) l’ambasciatore italiano che diede istruzioni, a me a alla mia famiglia, su come dovessimo comportarci in caso di necessità. Era preoccupato soprattutto per me. La settimana precedente un cileno, già profugo in Italia, era morto, spinto sotto il treno a una fermata della metropolitana. Non dovevo mai andare da solo, Franco o Mario dovevano sempre accompagnarmi. Sebbene il dittatore fosse stato sconfitto nel plebiscito del 5 ottobre, la violenza continuava a essere la cifra di una dittatura ferita e umiliata, ancora feroce e capace di colpire i suoi oppositori.

Tarcisio Benedetti (al centro della foto) mentre illustra il funzionamento della rotativa alla delegazione della CISL e ISCOS in visita alla tipografia Alborada in Santiago del Cile (da sinistra a destra: Mario Sepi, Mario Colombo, Franco Marini, Tarcisio Benedetti, Nino Sergi, Alberto Cuevas e Pietro Merli Brandini).
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