40 anni fa in Brasile nasce la CUT

di Gianni Alioti

La CUT – Central Única dos Trabalhadores compie 40 anni. Pochi mesi prima della fondazione di Iscos, il 28 agosto 1983, a São Bernardo do Campo nella regione industriale dell’ABC paulista, nasceva la CUT, la cui origine in qualche modo ci riguarda. È il primo passo con il quale i lavoratori brasiliani cercano di liberarsi dall’abbraccio mortale dello Stato che, sulla base della Consolidação das Leis do Trabalho (CLT) controlla la struttura ufficiale dei sindacati. Promulgata nel 1943 durante lo Estado Novo di Getulio Vargas, la CLT si ispira direttamente alla ‘Carta del Lavoro’ di Benito Mussolini e al sistema corporativo fascista. 

Il “nuovo sindacalismo” brasiliano, emerso con le lotte operaie alla fine degli anni ’70, difende in alternativa al corporativismo un sistema di rappresentanza pluralista degli interessi, con la fine del monopolio della rappresentanza sindacale e l’ascesa di centrali sindacali indipendenti,  consacrando la libera negoziazione tra lavoratori e datori di lavoro e sconfiggendo, così, il tradizionale controllo dello Stato sui sindacati.

Il processo costitutivo della CUT vede protagoniste diverse forze con distinte tradizioni sindacali – settori anarco-sindacalisti e della sinistra socialista (trozkisti e libertari), movimenti popolari, pastorale operaia e sindacalisti indipendenti – il cui obiettivo era la costruzione di un sindacalismo autonomo non controllato dallo Stato. La CUT nasce, pertanto, rifiutando forme di conciliazione di classe e difendendo sia un ampio diritto di sciopero, sia un’azione sindacale più combattiva.

Coloro che danno vita alla CUT in Brasile, sfidando apertamente la dittatura militare, oltre che sulle strade, sul quadro legale che impone regole e limiti all’azione sindacale, finiscono con l’avere un ruolo fondamentale nel processo di ritorno alla democrazia.

Dalle lotte operaie alla fine degli anni ’70 alla Conclat 

La rinascita dell’azione sindacale nella seconda metà degli anni ’70, così come l’azione di altri settori sociali e politici in Brasile durante questo periodo, è stata importante per la fine della dittatura e il consolidamento della democrazia”
(Iram Jácome Rodrigues, sociologo)

Nel maggio 1978, durante il governo militare di Ernesto Geisel, i lavoratori della Scania, un’azienda svedese che produce autobus e autocarri a São Bernardo do Campo, timbrano il cartellino e incrociano le braccia, insoddisfatti dell’adeguamento salariale inferiore all’inflazione verificato in busta paga. Lula, presidente del sindacato dei metalmeccanici di quel territorio, prende in mano le trattative con la multinazionale e riesce a chiudere un accordo molto positivo, con un aumento reale del 15%. È il battesimo politico di Lula e della sua affermazione come principale leader dell’organizzazione sindacale”. 

L’esempio è contagioso. Gli scioperi si diffondono nella regione industriale dell’ABC e in altre città. Oltre 150mila metalmeccanici, specie del settore automotive, bloccano la produzione restando sul posto di lavoro. Nella seconda parte del 1978 si registrano in Brasile più di 400 scioperi, nonostante siano considerati illegali dal regime militare. Il sindacato dei metalmeccanici di São Bernardo e Diadema comincia ad acquisire legittimità e rilevanza nazionale, diventando il principale polo catalizzatore di un “nuovo sindacalismo combattivo e indipendente, che non ha nulla a che fare con il tradizionale peleguismo, né con l’aparelhismo“. 

Nell’aprile del 1979 i metalmeccanici dell’ABC paulista decidono nelle assemblee lo sciopero generale di categoria in Brasile, contro la compressione dei salari. È il primo dopo quelli “eroici” del ’68 di Contagem (MG), Monlevade (MG) e Osasco (SP). Nonostante la forte repressione e l’intervento del governo nei sindacati, lo sciopero dura due settimane ed è sospeso per poter riaprire le trattative, che si concludono positivamente con un aumento del 63 per cento rispetto al 44 per cento negoziato con la Federazione dei metalmeccanici di São Paulo controllata dai “pelegos”. Lo sciopero generale mostra il rapido progresso dell’organizzazione dei lavoratori, che ancora una volta sfida la dittatura. Al movimento partecipano 200mila lavoratori, che paralizzano la produzione delle industrie della regione. 

L’anno dopo la storia si ripete e 140 mila metalmeccanici di São Bernardo do Campo e Diadema incrociano le braccia. Chiedono un aumento reale dei salari del 15 per cento oltre l’inflazione, la garanzia dell’occupazione e la riduzione dell’orario di lavoro da 48 a 40 ore settimanali. Il Tribunale Regionale del Lavoro dichiara lo sciopero illegale e parte la repressione. Il Ministero del Lavoro commissaria il sindacato e Lula ed altri 16 sindacalisti sono arrestati in base alla Legge di Sicurezza Nazionale. Lo sciopero di 41 giorni si conclude senza un accordo sindacale, ma con un importante saldo politico. I sindacalisti sono rilasciati e il diritto di sciopero diventa una bandiera rivendicata nazionalmente e sancito con la nuova Costituzione del 1988. 

La repressione del movimento sindacale dimostra i limiti di quella “apertura politica”, avviata con le presidenze dei generali Geisel e Figueiredo, e ampia sempre più il solco che separa i militari al potere e la società civile. Lula uscendo dal carcere dichiara I metalmeccanici hanno dimostrato che l’apertura non è un dono, deve essere conquistata da noi. […] Non abbiamo mai creduto all’apertura del Governo, che non ha spazio per i lavoratori”. Lo scontro con la dittatura e i padroni durante lo sciopero consolida tra i lavoratori dell’ABC paulista la forza emergente del PT [Partido dos Trabalhadores], creato all’inizio del 1980.

La legislazione del lavoro di stampo corporativo esistente in Brasile prevede il riconoscimento ufficiale dei sindacati da parte dello Stato. In un contesto autoritario e repressivo, proprio della dittatura militare, ciò comporta uno svuotamento della natura associativa e di classe dei sindacati dei lavoratori e l’emergere di una casta burocratica sindacale, oltre a numerosi ”sindicatos de carimbos’’ [letteralmente “sindacati di timbri”], fondati esclusivamente “sulla carta” con l’intento dei dirigenti auto-nominatisi di beneficiare delle risorse economiche 

assicurate dall’imposta sindacale obbligatoria, trattenuta a tutti i lavoratori dipendenti. Vale a dire una moltitudine di piccoli sindacati senza un’effettiva rappresentanza e un effettivo ruolo contrattuale e di tutela dei lavoratori.

In questo contesto, non c’è altra strada che ‘conquistare’ la direzione dei sindacati ufficiali e/o agire al di fuori del burocratismo ‘pelego’ attraverso strutture di ‘opposizione sindacale’, costruendo un ‘nuovo sindacalismo’ basato sulle commissioni di fabbrica e la partecipazione diretta dei lavoratori. La Chiesa cattolica, con i militari ancora al potere, rappresenta uno spazio d’incontro libero e “protetto” e un importante canale di mobilitazione e organizzazione per i lavoratori. Molti operai e sindacalisti s’impegnano nei Centri Comunitari e nelle Comunità Ecclesiastiche di Base (CEB), originati dall’azione di gruppi cattolici progressisti (Juventude Operária Católica e Ação Católica Operária, che danno vita alla Pastoral Operária). In questi ambiti, per la loro natura clandestina, si può esprimere un livello di radicalismo non consentito nei sindacati ufficiali.

Nel frattempo, prosegue anche il processo di creazione di un unico centro di coordinamento delle lotte sindacali e di mobilitazione a livello nazionale. L’occasione per un’articolazione alternativa al “peleguismo” si presenta nel 1978, al V Congresso della Confederazione Nazionale dei Lavoratori dell’Industria (CNTI), presieduto all’epoca dal vecchio “pelego” Ary Campista, sempre a suo agio con tutti i governi, compresi quelli militari. I sindacalisti indipendenti e più attivi nelle lotte e mobilitazioni a difesa degli interessi dei lavoratori bocciano la proposta di convocare una Conferecia Nacional das Classes Trabalhadoras (CONCLAT), attraverso la struttura verticale del sindacato corporativo controllata dallo Stato. E iniziano a costruire un collegamento e una loro specifica identità intorno al concetto di “sindacalismo autentico’. Si tratta, in maggioranza, di persone senza un retroterra politico-ideologico, che si formano nella pratica quotidiana dell’azione sindacale, a differenza dei sindacalisti maggiormente politicizzati che guidano il movimento delle opposizioni sindacali. Un loro primo incontro si realizza nel 1980 a Monlevade in Minas Gerais, seguito da altri due incontri a Vitoria (ES) e a São Bernardo do Campo (SP). Nasce una nuova articolazione, l’Articulação Nacional do Movimento Popular e Sindical (ANAMPOS), determinata a far avanzare il cammino verso la creazione di una Centrale Sindacale e di porre fine alla CLT con l’elaborazione di un nuovo Codice del Lavoro, che preveda il diritto alla libertà e autonomia sindacale.

La ANAMPOS sarà il motore per la realizzazione dal basso della prima CONCLAT nel 1981. 

“[…] questa nuova corrente sindacale che si è formata nella regione ABC di San Paolo, basata sulla pratica con la classe operaia all’interno delle aziende, e la sua preoccupazione per l’organizzazione di base, stava raggiungendo conclusioni identiche a quelle apparse con gli attivisti dell’opposizione sindacale. In sintesi, c’è stata una certa convergenza di concezione e pratica sindacale, nel momento in cui sono scoppiati gli scioperi, tra queste due correnti sindacali che saranno l’estuario attraverso il quale scorreranno le acque del nuovo sindacalismo. […] questi fatti portarono questi due settori del sindacalismo brasiliano ad avvicinarsi e […] furono elementi fondamentali per la formazione, pochi anni dopo, della Central Única dos Trabalhadores”.

Nel marzo 1979 si realizza il 1° Encontro Nacional das Oposições Sindicais (ENOS), di cui l’espressione più forte è rappresentata dal Movimento da Oposição Sindical Metalúrgica de São Paulo (MOMSP). Nate sull’asse São Paulo – Osasco con gli scioperi del 1968, le esperienze di “opposizione sindacale” si sono diffuse nel tempo in diverse città e anche nel campo rurale. Il programma approvato contiene le stesse rivendicazioni presenti nelle agende negoziali dei sindacalisti “autentici”, principalmente per quanto riguarda la questione salariale e le forme di negoziazione. Anche in relazione al modello sindacale, si attenua la contrapposizione nei confronti della struttura ufficiale, approssimandosi sempre più alle critiche rivolte dallo stesso “sindacalismo autentico”. Si conferma la contrarietà a qualsiasi ingerenza dello Stato e si auspica la fine della legislazione corporativa del lavoro, con la reintroduzione del pieno diritto di sciopero e della libertà e autonomia sindacale. Infine, si sottolinea l’importanza di creare una Centrale Unica dei Lavoratori.

Un terzo blocco di sindacalisti, cruciale per la convocazione della prima CONCLAT, è quello di tendenza “riformista” legato ai due partiti politici di matrice comunista, il PCB (Partido Comunista Brasileiro) e il PCdoB (Partido Comunista do Brasil) e da gruppi minori come il MR-8 (Movimento Revolucionário 8 de Outubro). Dal primo maggio 1979 si riuniscono formalmente e assumono il nome “Unidade Sindical” (UD). Con loro anche molti dirigenti di reputazione “pelega” che per mantenere il controllo dei loro sindacati e iniziare a prendere le distanze dal regime militare, ricercano un’alleanza con i sindacalisti “comunisti”.

Dalla prima CONCLAT alla CUT

Dal 21 al 23 agosto 1981 a Praia Grande, nel litorale paulista vicino Santos, 5.036 sindacalisti in rappresentanza 1.091 entità di tutte le categorie, oltre a centinaia di sostenitori e delegazioni internazionali, si riuniscono nella prima Conferecia Nacional das Classes Trabalhadoras. La conferenza è la prima grande riunione intersindacale dopo il golpe militare del 1964. È anche la prima e ultima volta che le diverse forze, tendenze e correnti dello spettro politico sindacale brasiliano si ritrovano insieme per discutere del futuro del sindacalismo, dei principali temi d’interesse dei lavoratori e della lotta per la democrazia. 

La creazione di una commissione nazionale pro-CUT, insieme alla decisione di programmare per il primo ottobre 1981 una Giornata Nazionale di Lotta, è stato uno dei pochi punti in comune scaturito dalla prima CONCLAT. L’unica manifestazione concreta di uno sforzo congiunto per continuare un percorso unitario, nonostante i tanti contrasti, le divisioni e le contraddizioni emerse. Le resistenze non provengono solo dai tanti burocrati e “pelegos” che per istinto di conservazione difendono la struttura sindacale corporativa vigente.

Emergono anche divergenze insanabili sia intorno al principio dell’unicità sindacale, sia riguardo le istanze promosse da ANAMPOS, finalizzate a rompere con il sistema sindacale brasiliano legato allo Stato. Da un lato i sindacalisti appartenenti al PT, alla pastorale operaia, ai movimenti di opposizione sindacale, ai gruppi trozkisti e libertari. Dall’altra i sindacalisti appartenenti ai partiti tradizionali di sinistra come il PCB (, il PCdoB e il Movimento Revolucionário 8 de Outubro (MR-8), contrari alla creazione di una centrale sindacale indipendente dalla struttura ufficiale del sindacato. Lula, al termine della prima CONCLAT, dichiara: “[…] abbiamo avuto un’idea di organizzazione sindacale di base che gli altri non avevano. […] C’era un compagno che era lì [a dirigere il suo sindacato] prima di me e [a distanza di tanti anni] c’è ancora. Questo rende difficile il rinnovamento”.

Al fondo di questa polemica stava la discussione sulla libertà e autonomia sindacale. Stava in discussione l’approvazione o no della Convenzione 87 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e le sue conseguenze: eliminazione dell’imposta sindacale, fine dell’unicità sindacale, fine di qualsiasi ingerenza del governo nei sindacati”  

A causa di queste divisioni la convocazione del primo Congresso Nacional das Classes Trabalhadoras (CONCLAT), finalizzato a fondare la CUT è più volte rinviato. Nel settembre 1982 i leader più conosciuti del sindacalismo autentico, tra cui Lula, decidono di organizzare il congresso creando le condizioni affinché non partecipino solo i vertici sindacali, ma anche rappresentanti dei lavoratori espressione diretta della base. Ed è su questo specifico punto che si articola lo scontro tra le diverse anime del sindacalismo brasiliano: la modalità di partecipazione. Anche attraverso “la base” o esclusivamente designati dalle strutture verticali ufficiali? L’ultima riunione della Commissione Nazionale pro-CUT, alcune settimane prima del Congresso, sancisce la rottura. Mentre da un lato si sostiene la nascita di una “CUT pela base”, dall’altrosi chiede che la nuova Centrale nasca solo all’interno del quadro legale del modello sindacale corporativo e dentro i limiti del sistema politico-economico esistente. Per questo motivo, il blocco di Unidad Sindical decide di non partecipare al 1°Congresso Nacional das Classes Trabalhadoras (CONCLAT),in programma dal 26 al 28 agosto del 1983, presso l’ex sede della Companhia Cinematográfica Vera Cruza a a São Bernardo do Campo (SP) e alla conseguente fondazione della CUT. In pratica i sindacalisti del PCB, PCdoB, MR-8 e altri scelgono di continuare la politica di “entrismo” nella struttura sindacale ufficiale, alleandosi con i “pelegos” e sperando, dall’interno del modello corporativo, in una transizione graduale e “riformista”. 

Lula è uno dei principali coordinatori della fondazione della CUT. Ma in quanto presidente del PT non fa parte della presidenza del CONCLAT, diretta da Jair Meneguelli che nel 1981 lo ha sostituito come presidente del sindacato metalmeccanico di São Bernardo do Campo e Diadema (SP). È il motivo per cui, a differenza di quanto molti pensano o scrivono, Lula non è mai stato presidente della CUT.

L’ultimo giorno del CONCLAT, sfidando la legislazione vigente e la dittatura militare, gli oltre 5mila delegati approvano la fondazione della Central Única dos Trabalhadores (CUT). Sono eletti gli organismi dirigenti nazionale (consiglio, direzione esecutiva, coordinamento) con il mandato di un solo anno, fino al 1° Congresso della CUT convocato nell’agosto 1984, sempre a São Bernardo do Campo (SP). La CUT è, quindi, la prima centrale sindacale nata dopo il golpe militare del 1964; espressione di un sindacalismo indipendente dall’ingerenza statale, più democratico e attivo, di rottura con il modello sindacale corporativo ispirato alla ‘Carta del lavoro’. Un sindacalismo nato dalla base, movimentista, libertario, socialista e combattivo. Non sono pochi tra i delegati quanti si richiamano all’eredità storica della Central Operária Brasileira (COB), di ispirazione anarco-sindacalista fondata a Rio de Janeiro nel 1908.

Uno dei fattori che assicurò una certa unità nel processo di costruzione della CUT rispetto alle due principali correnti che la componevano (i “sindacalisti autentici’e le ‘opposizioni sindacali’) fu, senza dubbio, la profonda critica al modello sindacale imposto dallo Stato militare alle classi lavoratrici. Entrambe le correnti convergevano su questo punto, formando un blocco forte e coeso.

Nei tre successivi congressi nazionali la CUT si consolida nel segno della libertà di organizzazione sindacale. Molti sindacati si costituiscono in contrasto con la CLT, e l’autonomia è messa in pratica nella creazione di strutture orizzontali, collettivi, assemblee plenarie e nel processo di costruzione democratica di federazioni statali e nazionali di categoria. Le direzioni di importanti sindacati industriali, come quelli dell’ABC paulista, di Volta Redonda, Rio de Janeiro, Campinas, Contagem e Belo Horizonte ecc. sono in mano al nuovo sindacalismo rappresentato dalla CUT, cosi come i sindacati bancari di tutte le principali città brasiliane e i più importanti sindacati della scuola. Nelle zone rurali, la Confederação Nacional dos Trabalhadores Agricolos (CONTAG) rimasta legata alla struttura sindacale ufficiale esistente, inizia ad avere una crescente partecipazione di dirigenti e sindacati legati alla CUT.

Nel 3° Congresso CUT di Belo Horizonte del settembre 1988, le pratiche più movimentiste e combattive lasciano il posto a un modello di azione sindacale più organizzato, più pragmatico e negoziale.

Sulla nascita della CUT anche il sindacalismo italiano si divide

La rottura nel sindacalismo brasiliano si riflette nelle scelte di CGIL, CISL e UIL riguardo la loro partecipazione al momento fondativo della CUT… Alla base c’erano le diverse relazioni politico-sindacali sul piano internazionale della CGIL (fino al 1978 affiliata alla FSM, la Federazione Sindacale Mondiale controllata dai sindacati dell’URSS) e della CISL affiliata alla ICFTU (la Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi, controllata dai sindacati europei e nord-americani), ma soprattutto più libera e pragmatica (e persino spregiudicata) nel sostenere, specie in America Latina, le esperienze sindacali più autentiche, spesso legate all’universo cattolico più progressista e rivoluzionario influenzato dalla “Teologia della Liberazione”.

Sin dal 1979, Alberto Tridente responsabile dell’ufficio internazionale FLM, ha costruito un forte legame con Lula, iniziando un lavoro di cooperazione unitaria nei metalmeccanici con il blocco dei ‘sindacalisti autentici’, soprattutto nell’ABC paulista, a Belo Horizonte e Contagem. 

La CISL guidata da Pierre Carniti è molto premurosa verso la realtà brasiliana. Luigi Cal, operatore per l’America Latina del dipartimento internazionale CISL (diretto da Emilio Gabaglio), accompagna l’azione sindacale di Alberto Tridente e coltiva altre relazioni basilari. Sia con il mondo cattolico attraversato da profondi fermenti di cambiamento, sia con la Oposição Sindical Metalúrgica de São Paulo. Essenziale è anche il lavoro a tutto campo di altri autorevoli cislini come Pippo Morelli. Lo scopo, non dichiarato e tantomeno condiviso con la ICFTU, è quello di sostenere in Brasile la nascita di un sindacalismo autonomo, in grado di rompere con il modello corporativo controllato dallo Stato. 

La politica internazionale CGIL segue, invece, uno stile più formale, più prudente, più attento a non rompere gli equilibri esistenti. È, indubbio, che in Brasile – pur non rifuggendo dai rapporti con i “sindacalisti autentici” e con lo stesso Lula (soprattutto da parte di dirigenti metalmeccanici come Bruno Trentin e Antonio Lettieri) – la CGIL tenga in maggiore considerazione l’orientamento dei sindacalisti legati al MDB, l’unico partito che riunisce le opposizioni nel sistema di bipartitismo imposto dai militari al potere; di quelli del PCB, partito collegato ai comunisti italiani del PCI; di quelli del PDT il partido democrático trabalhista collegato all’internazionale socialista.

Di fronte, quindi, alla frattura intervenuta nel ‘comitato promotore’ e alla decisione del blocco di “Unidad Sindical” di non prendere parte al congresso in programma a fine agosto e di convocare un’altra assise a novembre del 1983, la CGIL decide di ritirare la propria delegazione, formata da Ottaviano Del Turco, Michele Magni e Gianandrea Sandri e di  partecipare solo con un proprio osservatore ad entrambi i congressi (decisione annunciata in una conferenza stampa). La CISL, presente con Franco Bentivogli e Luigi Cal, decidono al contrario, cosi come la UIL, di partecipare e intervenire a pieno titolo al CONCLAT e alla fondazione della CUT. Stessa cosa fanno la CFDT francese, il DGB tedesco, la UGT spagnola, la CNT uruguaiana, l’Unione dei lavoratori alimentaristi di USA e Canada e altri sindacati minori.  A dire il vero non molti.  

Nel suo intervento Franco Bentivogli porta la solidarietà e il sostegno della CISL e auspica che il “nuovo sindacalismo” in costruzione in Brasile sia autonomo e di massa. Insiste, inoltre, sulla necessità dell’unità nel pluralismo, che eviti qualsiasi atteggiamento settario. Alla fine, dopo il voto unanime dei delegati per la fondazione della CUT, prende la parola Luigi Cal che dichiara l’impegno formale della CISL al riconoscimento internazionale della nuova centrale. In quell’istante si consuma, in modo plateale, la divisione del sindacalismo italiano sulla nascita della CUT… 

Se la scelta della CISL e anche della UIL (seppure più defilata), oltre che coraggiosa si dimostra lungimirante, per il peso e l’importanza che la CUT avrà nel sindacalismo brasiliano e internazionale (in specie, dieci anni dopo, con il suo ingresso nella ICFTU); la scelta della CGIL (di allora) rispecchia il limiti di un’azione sindacale subordinata ai partiti politici di riferimento… Non è casuale che la CGIL inizierà un rapporto di cooperazione con la CUT, solo dopo la metamorfosi (e/o scomparsa) dei partiti comunisti brasiliano e italiano, in seguito alla caduta del muro di Berlino.

Nella polemica che ne seguì tra Franco Bentivogli e Ottaviano Del Turco, dalle pagine del settimanale della CISL “Conquiste del Lavoro”, il segretario generale aggiunto CGIL nel tentativo – non del tutto riuscito – di mostrare come la posizione della sua organizzazione fosse equidistante e rispettosa di tutte le diverse anime del sindacalismo brasiliano, afferma con profetica intuizione che in Brasile si sarebbe andati verso la “nascita di due o tre confederazioni: una moderato-progressista, una di destra e filo governativa ed una espressione delle esperienze di base con la copertura del partito di Lula”. 

È quanto realmente accadrà. A novembre del 1983, i sindacalisti che non hanno partecipato alla nascita della CUT si riuniscono a Praia Grande (SP) e creano un loro coordinamento, che nel marzo 1986 trasformeranno nella “Central Geral dos Trabalhadores” – CGT. Non prima che i settori “pelegos” più reazionari e legati al Governo militare, abbiano dato vita a inizio 1986, con un’operazione burocratica e verticistica, alla “União Sindical Independente” – USI.  

La CUT, pertanto, nasce “única” solo nella volontà politica e nell’ideale strategico delle sue componenti. Nei fatti sancisce le divisioni presenti da tempo nel movimento dei lavoratori. Ma è improprio parlare di “balcanizzazione” del sindacalismo brasiliano, come fa Del Turco. È stata, al contrario, una scelta di libertà e di recupero del pluralismo sindacale.

Nel 1989 le due correnti della CGT, la “verde” e la “vermelha”, rispettivamente legate all’americana AFL-CIO e alla FSM, si dividono. Nascono “due” CGT, la “vermelha” “Central Geral dos Trabalhadores” e la “verde” “Confederação Geral dos Trabalhadores”. Nel 1991, la maggioranza dei sindacati affiliati a quest’ultima insieme ad altri sindacati indipendenti, a sindacalisti provenienti dal PCB e qualcuno dalla stessa CUT, danno vita a una nuova centrale chiamata “Força Sindical” – FS. Il suo primo presidente è Luiz Medeiros, presidente del sindacato dei metalmeccanici di São Paulo. Al contempo dalla “CGT vermelha” trasmigrano verso la CUT tutti i sindacalisti legati al PCdoB e una parte dei sindacalisti del PCB non confluiti in “Força Sindical” e/o rimasti nella CGT.  

L’evoluzione ibrida del sindacalismo brasiliano, tra unicità sindacale e pluralismo confederale 

Negli anni successivi nascono altre centrali sindacali, attraverso scissioni da quelle esistenti o raggruppando sindacati e federazioni nazionali rimaste indipendenti…Le centrali sindacali, saranno formalmente riconosciute in Brasile solo nel 2008, con una legge approvata durante il Governo Lula. 

Se, a livello di base, non può esserci più di un sindacato che rappresenti i lavoratori di una stessa categoria (settore o ramo di attività) in un determinato territorio (minimo a livello municipale); al vertice prevale il pluralismo sindacale. 

La tensione tra corporativismo e pluralismo, esistente nei primi anni ’80 intorno alla nascita della CUT, si presenta anche nel 1988 durante la stesura della nuova Costituzione democratica. In quell’occasione, però, il PT sul voto inerente il mantenimento dell’unicità sindacale si riposiziona. L’astensione dei deputati petisti, non è coerente con l’idea espressa dalla CUT sin dalla sua nascita e favorisce il mantenimento del monopolio della rappresentanza sindacale, una delle principali caratteristiche del modello corporativista brasiliano.

Questo atteggiamento conciliante trova riscontro anche negli anni successivi, consolidando nei fatti in Brasile, un sistema ibrido di rappresentanza degli interessi dei lavoratori. In un’unico sistema finiscono per convivere, non senza contraddizioni, la struttura corporativa (sindacati di categoria) e gli assetti pluralisti (centrali sindacali).

Le basi giuridico-legali del sindacalismo corporativo riescono ad attraversare illese diverse fasi della storia politica brasiliana, presentandosi come esempio di longevità legislativa e istituzionale. Nonostante le ricorrenti critiche e l’enorme prezzo pagato per la negazione del diritto fondamentale per i lavoratori di potersi organizzare sindacalmente nei luoghi di lavoro.

Nel 2018 il numero delle entità sindacali dei lavoratori era il seguente: 11.578 sindacati (la maggior parte municipali), 424 federazioni statali, 36 confederazioni nazionali di categoria, ripartite in 13 centrali sindacali o senza affiliazione. L’insieme dei lavoratori iscritti volontariamente al proprio sindacato, nello stesso anno, è pari a 12 milioni 755 mila e 446 persone (il 12,5 per cento sul totale degli occupati).

La ripartizione degli iscritti tra le centrali sindacali risulta la seguente: 

  • CUT – Central Única dos Trabalhadores (30,4%)
  • UGT – União Geral dos Trabalhadores (11,4%)
  • CTB – Central dos Trabalhadores e Trabalhadoras do Brasil (10,1%)
  • FS – Força Sindical  (10,1%)
  • CSB – Central dos Sindicatos Brasileiros (8,2%)
  • NCST – Nova Central Sindical de Trabalhadores (7,4%)
  • CSP – Conlutas (2,2%)
  • CGTB – Central Geral dos Trabalhadores do Brasil (1,9%) 
  • CBDT – Central do Brasil Democrática de Trabalhadores (0,7%)
  • Pública(0,1%)
  • Intersindical(0,07%)
  • Central Unificada dos Profissionais Servidores Públicos do Brasil  (0,007%)
  • UST – União Sindical os Trabalhadores (0,006%)

Solo le prime 6 raggiungono i criteri di rappresentatività (minimo entità sindacali affiliate e iscritti volontari) definiti dalla legge di riconoscimento delle centrali sindacali introdotta nel 2008. Le ultime 5 per numero di sindacati affiliati e lavoratori iscritti sono insignificanti. Nel 2021 la CGTB (la “vecchia” CGT vermelha) è confluita nella CTB, diventata la seconda centrale sindacale dopo la CUT.

La CUT resta negli anni, nonostante la fuoriuscita nel 2007 della corrente “classista” legata al PCdoB che costituisce la CTB e della corrente trozkista del PSTU che dà vita nel 2004 a Conlutas, la centrale sindacale maggiormente rappresentativa in Brasile e in America Latina (e tra le prime dieci nel mondo). Ciò conferma che la sua creazione nel 1983 è stata una tappa fondamentale nella storia del movimento sindacale brasiliano. A distanza di 40 anni è presente in tutti i rami dell’attività economica del Paese con 2.344 sindacati, 92 federazioni statali e 6 confederazioni nazionali di categoria affiliate, con una rappresentanza e titolarità contrattuale di 23.981.044 lavoratori alla base, di cui 3.878.261 iscritti su base libera e volontaria. Dopo la cancellazione dell’imposta sindacale obbligatoria equivalente a una giornata di lavoro con la Reforma Trabalhista (Lei 13.467, del 2017), durante il Governo Temer, l’adesione libera e volontaria dei lavoratori ai sindacati è l’indicatore più importante per misurare l’effettiva rappresentatività e autonomia del movimento sindacale brasiliano.

E va riconosciuto che la CUT, sin dalla sua nascita, ha difeso la libertà e l’autonomia sindacale con l’impegno e la comprensione che i lavoratori hanno il diritto di decidere liberamente sulle loro forme di organizzazione, affiliazione e sostegno finanziario, con completa indipendenza da Stato, Governi, datori di lavoro, partiti e raggruppamenti politici, credo e istituzioni religiose…

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