Amazzonia: lo sfruttamento minerario distrugge la foresta, inquina l’acqua e causa malattie

  • Dom Evaristo Spengler, vescovo francescano di Marajó e partecipante al Sinodo per l’Amazzonia, critica ‘lo sviluppo predatorio’, riferendosi indirettamente all’agenda ambientale del Governo brasiliano: ‘dobbiamo apprendere con i popoli indigeni’.

Nella foto di Pablo Valadares/Agência Câmara, Dom Evaristo Spengler interviene il 4 settembre 2019 nella seduta plenaria alla Camera dei Deputati della Repubblica Federale del Brasile, durante l’ “Ato pela Amazônia: em defesa da vida dos povos da floresta”.

  • Intervista a cura di Rodrigo Castro, pubblicata sulla rivista settimanale brasiliana ÉPOCA (traduzione in italiano di Gianni Alioti)

Alla vigilia del Sinodo per l’Amazzonia, il vescovo don Evaristo Spengler, del prelato di Marajó, nel Pará, ha affermato che la Chiesa non è preoccupata con il Governo brasiliano. Per lui, al contrario è il Governo che sta in ansia con l’incontro in Vaticano, tra il 6 e il 27 ottobre, per discutere le forme di protezione del bioma amazzonico e dell’evangelizzazione. Siegler è uno dei 58 vescovi e padri brasiliani che staranno nell’evento, insieme ad altri 113 rappresentanti della Regione Pan-amazzonica.
Prima di riunirsi con il papa Francisco, il vescovo ha partecipato di un’udienza pubblica nella Camera dei Deputati.
Ha difeso la sospensione di mega-progetto che aggrediscono l’Amazzonia e ha preso posizione contro lo sfruttamento di risorse minerarie, illegali o no. Nonostante non abbia fatto nessuna critica diretta al Governo del presidente Jair Bolsonaro, il vescovo, nell’intervista a ÉPOCA, è stato enfatico nel criticare diversi punti che fanno parte dell’agenda ambientale governativa.
Lui ha anche reagito alle dichiarazioni del presidente Jair Bolsonaro per il quale il Sinodo potrebbe rappresentare una “minaccia alla sovranità nazionale”. “Chi sta chiamando stranieri per occupare la base [spaziale] di Alcântara, per sviluppare l’Amazzonia, non è la Chiesa”, ha detto il vescovo.

  • qui di seguito l’intervista completa a Dom Evaristo Spengler.


La comitiva brasiliana è arrivata a un consenso su cosa trasmettere al papa?
Il consenso fino a qui è stato un processo di ascolto avvenuto dall’inizio alla fine del 2018, nei nove paesi amazzonici. Sono state ascoltate 82 mila persone da parte delle Diocesi e per la Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica (Repam-Brasil). Questo processo ha avviato uno strumento di lavoro che, ora, è alla base dell’inizio del Sinodo. Li sta il consenso dell’ascolto. A partire da li, quello che si avvierà non lo possiamo prevedere in questo momento.
Ma qual’è la posizione rispetto alla politica ambientale del Governo brasiliano?
Il sinodo non tratta di politica ambientale di un Governo. La Chiesa si posiziona a partire da una visione della fede. Una visione in cui il mondo è creato da Dio, che ha collocato qui l’essere umano per preservare questo pianeta, che il papa chiama di Casa Comune e non appartiene solo alla nostra generazione. Dobbiamo lasciare un progetto di vita per le vite future, non solo vita umana, ma anche della fauna e della flora. Conservare è un dovere di fede, non è una posizione a favore o contro questo o quel Governo.
Nell’udienza pubblica, lei ha cobrado la sospensione di mega-progetti che aggrediscono l’Amazzonia. Quali sarebbero?
Il papa ha collocato molto chiaramente quando è venuto a Porto Maldonado, nel Peru, che l’Amazzonia, oggi, è un territorio conteso. Esistono due modelli di sviluppo dell’Amazzonia. Uno è predatore. Ci sono cinque aree in cui questo modello sta attuando: l’estrazione di legname, l’allevamento estensivo, l’estrazione mineraria’ la monocultura agricola e l’energia, che riguarda le centrali idroelettriche. Questi mega-progetti pregiudicano profondamente il bioma amazzonico. L’altra forma di sviluppo è il socioambientale. Le popolazioni che vivono in Amazzonia – indígenas, quilombolas o ribeirinhos — convivono con la natura senza distruggerla. Non è che l’Amazzonia non sia economicamente viável. Lo è. Produce açaí, castanha-do-pará, cacao, molti oli. Un ettaro di açaí sta producendo 6.712 dollari Usa per anno, mentre un ettaro coltivato a soia sta producendo 819 dollari Usa per anno. La foresta in piedi è molto redditizia. E la gente può usarla preservando l’ambiente senza tagliare il bosco, senza distruggere, senza incendiare. È questa la nostra proposta.
Il presidente, per esempio, si è dimostrato d’accordo con i garimpeiros (cercatori d’oro)…
È una delle forme in cui si manifesta lo sviluppo predatorio. Il garimpo è tra le cose che sta distruggendo la foresta e inquinando l’acqua. Chi poi beve quest’acqua inquinata sono i bambini, le persone che abitano sulle rive dei fiumi. E le malattie stanno aumentando anche in funzione dell’inquinamento che proviene dalle attività minerarie [nr. specie dovute al mercurio]. Un esempio Um exemplo è l’Amapá. Imprese minerarie hanno sfruttato le risorse del sottosuolo per molti anni, hanno lasciato crateri aperti e se ne sono andate via. Dove è finita questa ricchezza? Fuori dal Brasile. Il popolo di Amapá ha continuato economicamente a stare come prima, ma con i rifiuti che hanno lasciato, con i grandi crateri, con questo enorme danno ambientale ereditato.
Bolsonaro ha detto, anche, che l’interesse straniero nell’Amazzonia non è nell’indio né negli alberi, ma nei minerali. Ha un senso?
Parlo per la Chiesa, non per gli stranieri. Non mi compete analizzare, ma la Chiesa persegue la preservazione del bioma, come un prendersi cura del creato che Dio ci ha lasciato e, anche, il prendersi cura dei popoli nativi. Papa Francesco anche ha detto che, se questi popoli hanno conseguito convivere con l’Amazzonia preservandola per tanto tempo, dobbiamo apprendere con loro. Non è vivere come gli indigeni, ma vivere in questa armonia con l’ambiente che loro hanno conservato fino ad oggi. Attraverso le immagini via satellite, voi vedete che la foresta è molto più preservata dove esistono le terre indigene delimitate e riconosciute. Nel mondo intero, popolazioni indigene preservano l’82% del bioma che abbiamo nella Terra. Se loro danno questo esempio, è li il cammino. Chi ha prodotto il problema degli incendi, la distruzione dell’Amazzonia, chi ha questo modello non terrà soluzione. La gente deve cercare un’alternativa. E i popoli indigeni hanno questa alternativa da insegnarci.
Lei ha menzionato che il Governo brasiliano vede la Chiesa Cattolica come nemica della Patria. La Chiesa è ha favore dell’internazionalizzazione?
La Chiesa Cattolica mai è stata a favore dell’internazionalizzazione. La sovranità compete a ciascun paese. La Chiesa Cattolica sta difendendo le popolazioni locali affinché possano a preservare l’ambiente. Chi sta chiamando gli stranieri per occupare la base di Alcântara, per sviluppare l’Amazzonia non è la Chiesa. Dovete chiedere a chi sta facendo ciò se loro vogliono internazionalizzare.
E come valuta questa approssimazione del Brasile con gli Stati Uniti?
Dobbiamo preservare la sovranità. Dove gli USA sono arrivati a impiantare una base militare, non se sono mai più andati. Ha qualche esempio di luoghi dove loro sono arrivati e se ne sono andati?
Ma per il presidente Bolsonaro è il sinodo che rappresenta una “minaccia alla sovranità”…
Il sinodo non è un incontro di Stati, não é um encontro de Estados, è un incontro interno della Chiesa. Già è fatto storico. Il papa ha nei vescovi un congiunto di persone per approfondire, pregare, riflettere e cercare cammini per l’evangelizzazione, così come è avvenuto per la gioventù, per la famiglia, per l’Africa, l’Europa e tanti altri sinodi. Oggi il papa si sta preoccupando di migliorare l’evangelizzazione, come la Chiesa può avere più presenza in Amazzonia, dove ci sono pochi preti, missionari, religiosi. Il popolo resta solo nelle comunità dell’interno, molte volte, più di un anno. Il secondo approccio è questo dell’ambiente, della Casa Comune. E il sinodo deve essere inteso come una continuazione, una conseguenza dell’enciclica del papa, del 2015, chiamata Laudato si .
La Chiesa non si sta posizionando a favore o contro il Governo brasiliano, ma ha davanti un cammino. La Chiesa è presente in Amazzonia da più di quattro secoli. Il papa sta parlando da sempre dell’attenzione necessaria ai popoli indigeni. Anche il papa Pio X, all’inizio del secolo passato, aveva questa preoccupazione. I vescovi dell’Amazzonia si riuniscono dal 1952, prima ancora che esistesse la CNBB (la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile). Questa preoccupazione della Chiesa per l’Amazzonia, non è una cosa di oggi. C’è tutta una storia. E il sinodo è una conseguenza d’essa.
Quale è stata la percezione internazionale sulle azioni del Governo dentro la Chiesa?
La chiesa non si è preoccupata con le posizioni del Governo brasiliano, ma con il cammino che lei sta prendendo a partire dagli orientamenti del papa e dell’enciclica. Non siamo noi che ci stiamo preoccupando con il Governo; è il Governo che si sta preoccupando con il sinodo.
Nonostante l’interno, l’incontro avrà ripercussioni esterne. Quali possono essere?
Il sinodo vuole essere una luce per due cammini. Uno sarebbe quello dell’evangelizzazione. Come la Chiesa deve essere più presente, stando insieme al popolo tutto l’anno… La maggiore forse, per fuori, sia questa rete che sorge di attenzione all’Amazzonia. Ciò dovrebbe essere una preoccupazione di tutti gli abitanti del pianeta.
Sembrava che il mondo crescesse in questa preoccupazione e, all’improvviso, siamo tornati all’anno zero. Le persone non vedono più l’ambiente come qualcosa di grave da essere preservato. Già è risaputo che la temperatura del pianeta sta aumentando. Ciò è comprovato scientificamente. Si teme che nei prossimi decenni la temperatura si possa alterare di più di 3 gradi celsius, e questo provocherebbe danni gravissimi, come lo scioglimento delle calotte polari, elevando il livello dei mari. La Chiesa ha questa responsabilità con quello che è la creazione di Dio. Io sono francescano, questa è la mia eredità. San Francesco aveva la preoccupazione di avere cura dell’ambiente e vedere in tutto la presenza di Dio. È questa visione che più andremo ad approfondire nel sinodo.

Foto di Gianni Alioti, Dom Evaristo Spengler in Roma il 19 ottobre 2019 durante la Via Crucis per i popoli e martiri dell’Amazzonia
Lei, durante l’audizione parlamentare, ha parlato sulla protezione dei difensori di diritti umani, che soffrono costantemente minacce di morte…
Il Pará, forse, è oggi lo Stato del Brasile dove più si ammazzano persone che lottano per il diritto alla terra, alla vita. Esiste una persecuzione molto grande. Di ogni dieci morti nelle aree rurali in Brasile, nove avvengono in Amazzonia. Dal 1995 al 2018, sono stati liberati in Brasile 55 mila lavoratori schiavi. Metà stavano in Amazzonia. Quando i missionari si schierano tentando di dare dignità ai nativi dell’Amazzonia, avvengono persecuzioni. Invece di essere visti come difensori della vita umana, missionari e leader laici stanno essendo criminalizzati. È una totale inversione dei valori.
Ha già ascoltato racconti di queste minacce?
Convivo con persone che soffrono minacce. Si, intorno a me esistono molte persone che sono minacciate di morte.
Nelle sue parole, ha affermato che i missionari arrivano dove non arriva lo Stato. Come attuano?
Molti luoghi qui del Marajó sono esempi concreti. I municipi non sono nelle condizioni di garantire la sicurezza alle popolazioni ribeirinhas. Se la Polizia Civile o Militare è avvisata di un crimine che succede nelle zone interne, per lo spostamento con una barca a motore addebita intorno a 1.500 reais (circa 350 euro). Se qualcuno è stato derubato o ferito, preferisce non fare alcuna denuncia perché sa che spenderebbe ancora più denaro. Molte scuole dell’interno del Marajó non hanno un servizio di trasporto. têm transporte. I posti di “pronto soccorso”, a volte, non hanno infermieri, non hanno farmaci o non hanno il medico. I missionari cercano di aiutare e soffrono con i locali, in quanto lo Stato lá non sta presente, non attende alle necessità del popolo.
Lei ha proposto politiche di finanziamento pubblico. Come immagina ciò?
Dove vanno i finanziamenti oggi? Per i Para onde vão os financiamentos hoje? Per i fazendeiros, per quelli che estraggono il legname, vanno per le imprese minerarie, per chi sta praticando la monocultura in campo agricolo. Sempre questi sono imprese predatrici eppure stanno ricevendo finanziamenti pubblici. Già il piccolo agricoltore, che copre il 70% dell’alimentazione dei brasiliani, soffre della scarsità di finanziamento. Vogliamo che ci siano finanziamenti pubblici per questi progetti che possano lasciare la foresta in piedi. La coltivazione della castagna (la noce brasiliana), del pesce, del frutto açaí. La foresta può permanere in piedi, le persone possono avere una fonte di reddito, ma da sole senza una politica pubblica che l’incentiva e la supporti, resta difficile. Soffriamo un grande problema di trasporto del prodotto. Potremmo formare cooperative, associazioni che possano affrontare insieme questo dramma di produrre, di trasportare e di vendere. Oggi ciascuno, senza nessuna politica pubblica di ausilio, si ritrova da solo.

Foto di Gianni Alioti, Dom Evaristo Spengler in Roma il 19 ottobre 2019 durante la Via Crucis per i popoli e martiri dell’Amazzonia

Condividi l'articolo: